Quando la burocrazia supera, saccheggia anche il buon senso. Per il ritrovamento del sito dove poter far decollare in bella mostra e sicurezza i mosaici paleocristiani archeologici di “San Giusto” è stato immaginato e formalizzato un itinerario burocratico davvero scandaloso, sconcertante, che ha occupato ben nove anni di tempo (perso). E non solo per la quantità di quattrini inutilmente spesi (sinora 500mila euro destinati a lievitare), ma soprattutto per la inadeguatezza delle soluzioni adottate, risultate via via poco rispondenti all’obiettivo di una sicura conservazione. E sono state ben tre Amministrazioni, di diverso colore (Labbate, Morlacco e Dotoli), a non farsi mancare proprio nulla in termini di decisioni che, alla propria dei fatti, si sono rilevate perlomeno cervellotiche o, se preferite, fallimentari. Della questione ora si occuperà anche la Corte dei Conti - su denuncia dei consiglieri della lista Tutolo - che vorrà vederci chiaro in relazione alla congruità delle somme spese e ai criteri che hanno ispirato le stesse. Ma, questo è un altro discorso. Indipendente dalle decisioni della “Corte”, appare in tutta evidenza è che tutta l’operazione gestita male e che forse continuerà a muoversi sulla stessa falsariga, posto che è stata deciso di allocare i resti nell’area del nuova biblioteca e pinacoteca a “San Pasquale”, ma è tutto ancora allo stato embrionale,delle buone intenzioni che lascia intravedere l’esborso di ulteriori somme.
Durante questo discutibile percorso burocratico si è messa giustamente di mezzo la Soprintendenza alle Antichità che, per esempio, ha ritenuto non idoneo il ricovero all’interno del castello federiciano. Se il maniero è stato ritenuto inidoneo, figuriamoci cosa possa rappresentare il campo del pattinaggio per una operazione così delicata! Ovviamente, in queste operazioni il parere della Soprintendenza è obbligatorio, discutibile o meno che possa essere. Riflessione: se così è e non si discute, perché le Amministrazioni sopra citate, prima di formalizzare gli atti, non hanno ritenuto di chiedere il parere della Soprintendenza? A parte il fatto che anche altre espressioni culturali hanno ugualmente ritenuto che il ricovero nel castello non fosse proprio ottimale. Al punto che sono state inscenate anche manifestazioni di dissenso, che hanno fatto il gito sui web locali. La morale è che questi episodi la dicono tutta sulla maniera con cui si amministrano i soldi pubblici, i nostri soldi. Chiediamo: se la questione fosse stata privata, degli amministratori quali semplici cittadini e padri di famiglia si sarebbe seguito lo stesso percorso? O, piuttosto non si sarebbero individuate soluzioni meno pericolose, non al buio e anche meno onerose? In qualche maniera, questo é un altro contenzioso per il Comune di Lucera, che si va distinguendo per le carte portate in Tribunale, molte delle quali certamente non espressione di una saggia amministrazione. Le nostre domande non avranno risposte, perché sarebbe difficile spiegare al popolo come si possono scialacquare le risorse pubbliche senza accollarsi responsabilità, almeno quelle morali. Per il resto ci penserà la Corte dei Conti.
a.d.m.