Tutti a chiedere aiuti allo Stato. Ormai, è un arrembaggio. Sembra che la super citata ripresa debba essere un argomento di pertinenza dello Stato centrale, mentre è in realtà essa è la sommatoria - come ci insegnano i manuali di economia politica – di fattori che determinano le condizioni di produzione e di mercato. A sentire le chiacchiere di questi giorni, sembra quasi che il rilancio dell’economia debba avvenire per decreto. Se fosse così facile! Sembra quasi che il Governo si intestardisca a non volere la ripresa, che porta benessere, occupazione e anche benefici dal punto di vista dei consensi elettorali, argomento quest’ultimo molto sensibile ai partiti. Sembra quasi di capire che questo Stato è pazzo a non volere tutto ciò, che appartiene soltanto al buon senso. Ci chiediamo e tanti si chiedono: la classe imprenditoriale - sempre criticona e polemica - sta facendo il proprio dovere per assecondare tale auspicata ripresa? Nonostante tanti tavoli governativi e sindacali che si imbandiscono ogni giorno, quali sono le ricette veramente realistiche, cioè realizzabili che vengono fuori a conclusione dei lavori? La sensazione è che gli imprenditori hanno imparato bene a piangere e, così, facendo allungano sempre di più la mano nel chiedere aiuti statali. Che anche quando giungono, non è che abbiamo un esito straordinario. Dalle nostre parte ne sappiamo qualcosa: aziende messe su prevalentemente con gli aiuti di Stato, con sede legale al Nord (dove pagano le tasse, se le pagano), con manodopera annunciata per locale e, invece, presto viene ridotta e beneficio di quella settentrionale e con risultati di mercato presto deludenti. Il che comporta che tante di queste aziende, dopo aver incassato i contributi a fondo perduto, chiudono e vanno via, lasciando sul territorio solo i tanti scheletri rappresentanti dal capannoni industriali deserti e danneggiati dall’incuria. In proposito, ci viene in soccorso una significativa dichiarazione dei giorni scorsi di Enrico Pazzali, amministratore delegato della “Fiera di Milano”, il quale così ha avuto modo di commentare l’attuale fase congiunturale: “Nessuno vuole sottovalutare le difficoltà che stiamo attraversando. Non è certo il momento per far finta di nulla e per ignorare i problemi che, in molti casi, per ricaduta congiunturale, l’Italia subisce e condivide con molti altri Paesi, ma è l’approccio a questi problemi che è sbagliato. Bisogna scegliere la strada del fare, mettendosi in gioco con investimenti individuali e aziendali, che possano permettere di ripartire e di perpetuare quelle che sono sempre state le nostre attitudini: la capacità di reinventarsi, di stare al passo con i tempi e di sfidare il mondo economico e imprenditoriale con le nostre idee e le nostre soluzioni. Esattamente ciò che hanno fatto i nostri progenitori e le generazioni passate. Basta non ascoltare le cassandre e smetterla con i piagnistei”. Dette da uno che vive ed opera nella università dell’imprenditoria italiana e parla dal vertice di una Fiera importante che fa sintesi e scuola, c’è proprio da credere che bisogna tornare al fare, al darsi da fare, a investire con il proprio patrimonio personale per approvvigionarsi di quei capitali di rischio che non fanno parte del bagaglio statale. E utilizzare quelle risorse personali che incrementano la raccolta delle banche, ma non rafforzano il patrimonio aziendale. Una volta tanto i piagnoni non sono meridionali!