Spesso nelle analisi si giunge sino al fondo del pozzo per individuare le ragioni del mancato del decollo del Sud o, meglio, della povertà del Sud. Spesso si trascura un dato elementare quanto essenziale, che è quello della situazione dei protesti, che sono una specie di arma impropria per decretare velocemente la fine di una azienda o di una persona. E’ stato presentato il rapporto del dipartimento per le politiche di sviluppo ( il DPS) per il 2010 che certifica un dato largamente scontato, alla luce di ciò che si può percepire anche attraverso il conti della massaia: il divario tra Nord e Sud ha subito una ulteriore divaricazione, a svantaggio del Sud, ovviamente. La solita raccomandazione di questo organismo: se non si capisce che i problemi meridionali sono parte integrante dell’economia nazionale assisteremo progressivamente alla caduta in picchiata del Meridione. Fin qui non è il caso di scomporsi per chi registra periodicamente tali analisi. Il dato preoccupante che dà contezza all’analisi in termini preoccupanti è la situazione del protesti, che ha raggiunto una percentuale del 43% imputabile al Meridione. I protesti sembravano appartenere all’epoca del rilascio facile delle cambiali risalente agli anni del dopoguerra, quando per comprare un elettrodomestico o un televisore non si esitava a firmare una cambialetta, che veniva onorata con i risparmi della famiglia. Fino a qualche anno fa l’elenco dei protesti, edito dalla Camera di Commercio, sembrava essersi ridotto a poche pagine. Ora siano in risalita, il che testimonia il grado di difficoltà che incontra la gente.
Il protesto è una arma micidiale che distrugge chi chiede un fido. Difatti, la prima domanda che fa il funzionario della banca è: “Lei ha avuto qualche protesto”? Alla risposta eventualmente affermativa al cliente non resta che prendere la via di uscita senza possibilità di replica. Quindi niente fido. Quando il cliente ha una linea di credito può vedersela revocare a vista all’apparire di un protesto. Questo significa rimborsare immediatamente tutte le posizioni debitorie non solo da parte dell’istituto di credito, ma anche dei fornitori che evidentemente non hanno più fiducia nel rapporto di affari instaurato. Una volta revocati gli affidamenti o in presenza di un diniego alla concessione del fido o all’ampliamento dello stesso, vi è di fatto la caduta e la chiusura dell’azienda. Si, magari il Tribunale ne decreterà formalmente il fallimento dopo qualche anno (si fa per dire!), ma il danno è già nei fatti, con l’azienda in ginocchio e non più cautelata dall’assistenza creditizia del sistema bancario. Fenomeno questo che può portare direttamente al ricorso dell’intervento usuraio, che, anziché procurare un sollievo, alla lunga determina la fine dell’azienda stessa a causa degli alti tassi praticati, tassi appunto da cravattari. Queste situazioni non sono rare come potrebbe sembrare. Anzi, sono all’ordine del giorno, anche in presenza di un atteggiamento più cautelativo delle banche preoccupate solo di mantenere l’esistente e non anche disposte ad accompagnare le aziende nella oggettiva prospettiva di crescita. Ecco perché il dato del DPS va valutato attentamente, anche nell’ottica di immaginare modelli di interventi che tengano contro della eccezionalità corrente della situazione economica. Agire come se nulla fosse accaduto potrebbe anche trascinare il sistema bancario in una caduta a cascata anche delle aziende potenzialmente sane, ma scarse di liquidità.