Ora ci dicono che la povertà costituisce un elemento di crescita per il Mezzogiorno. Al Sud non ancora conoscevamo questa ricetta. Anzi, a dirla sinceramente, pensavamo il contrario, nel senso che ritenevamo che fosse la ricchezza, il benessere a trainare lo stato di bisogno. Sembrerebbe una battuta se non fosse che questa affermazione giunge da un podio importante, che è quello di Giuseppe Mussari, presidente della potente ABI ( Associazione Bancaria Italiana) e di una grande banca come il Monte Paschi di Siena, nel corso di un convegno tenuto a Monteroni di Lecce sul “sistema bancario nazionale e meridionale”. Testualmente:” A tutti sarà chiesto di lavorare di più come forma di investimento per il futuro, ma il Mezzogiorno ha le migliori opportunità di crescita perché parte da una posizione più bassa.” Dunque, il gap che il Sud denuncia rispetto al Nord può tradursi in una opportunità per noi meridionali, specie ora che si è inceppato il sistema economico del Nord Italia. Come dire che più giù di così il Sud non può stare, per cui si possono avere solo delle lievitazioni all’insù delle condizioni sociali ora in sofferenza.
All’interno di questa strategia, è stato sostenuto che bisogna seguire due linee di comportamento: realizzare le grandi infrastrutture finanziate soprattutto dall’Europa e riscrivere il ruolo delle banche specie nel contesto della media imprenditoria. Più che proposte sembrano due atti di accusa verso l’inerzia che sinora ci ha contraddistinto di fronte a queste due direttrici di marcia. Si tratta, però’, di individuare i soggetti responsabili. Per le infrastrutture dobbiamo effettivamente batterci il petto, visto che siamo bacchettati continuamente dall’Europa proprio per i nostri ritardi e per la mostra incapacità congenita di non saper trasformare in opera i tanti finanziamenti a disposizione. O che quelli utilizzati non rispondono all’idea di concentrarsi su opere strutturali capaci di dare risultati immediati e duraturi all’economie della zone interessate. Per le banche la ricetta non è nuova, posto che si è sempre detto che gli istituti di credito devono avere una funzione più attiva a sostegno dell’economia, allargando le maglie di quel rischio di impresa che quasi sempre è interpretato con valutazioni improntate ad un rigore eccessivo. Come si può constatare, dal convegno non sono venute novità sconvolgenti, se non ripetere le solite giaculatorie, con l’atteggiamento sempre di trovare nell’altro le colpe del non realizzato. Verrebbe da dire meno convegni e tavole rotonde e più fatti.