In questo periodo, si vanno pubblicando e illustrando i dati di bilancio relativi a importanti aziende italiane o di quelle che sono tali solo di facciata, in quanto di fatto incorporate nel capitale estero. Il tutto mentre da tante parti scorrono lacrime per la condizione di difficoltà e addirittura di miseria in cui versano gli italiani. Certo, non sono tutte rose e fuori, perché gli utili non sono più quelli di una volta, pur tuttavia la distribuzione dei dividenti è assicurata, segno che il fatturato si mantiene su livelli poco ridotti dalla crisi globale in atto. Soprattutto le banche mantengono margini di redditività apprezzabili, andando un po’ controcorrente rispetto alla ricorrente pubblicistica di carattere economico che le vorrebbe in difficoltà. Sempre a proposito delle banche, si mantengono su livelli positivi i due cardini dell’attività creditizia: depositi e impieghi. Le relazioni ci dicono che gli affidamenti e le concessioni di credito in generale non hanno subito decrementi significativi e i depositi mantengono lo zoccolo duro, a conferma della consolidata tendenza degli italiani a risparmiare. Da questo quadro emerge una apparente clamorosa contraddizione: sembrano ricchi i bilanci e poveri i cittadini! In termini semplici, parrebbe una situazione paradossale. Evidentemente non è così. Perché l’analisi va fatta all’interno della situazione in cui si trovano ad operare le medie e piccole aziende, che costituiscono l’ossatura dell’economia italiana. La logica dei grandi numeri talvolta inganna e snatura la realtà. Vediamo perché.
Il problema è di decifrare la selezione e la qualità degli appoggi creditizi. Non v’è dubbio che le aziende di grosse dimensioni trovano sempre il modo di integrare la loro base di liquidità attraverso gli interventi, diretti e indiretti, dei grandi gruppi creditizi, che non poche volte sono coinvolti direttamente nella proprietà imprenditoriale degli assistiti, talvolta attraverso i funambolismi vari della cosiddetta finanza creativa. E’ al centro che c’è il problema. Si è vero, come dicono i bilanci, che gli impieghi aumentano, c’è da chiedersi dove vengono dirottati? Questo è il problema. Senza aggiungere che spesso le risorse di liquidità vengono impiegate in operazioni rocambolesche di forte rischiosità, il cui esito in tanti casi è stato disastroso per le tasche dei cittadini. Al Sud la situazione è ancor più difficile, dato che qui le aziende di modeste dimensioni in genere soffrono di sottocapitalizzazione e perciò hanno più bisogno del sostegno bancario. Unanime è l’accusa alle nostre imprese bancarie: il rifiuto è all’ordine del giorno quando si va a chiedere un appoggio creditizio o un ampliamento dello stesso. Ed è qui che c’è la povertà, dato che - non sostenendo il nostro sistema delle medie e piccole imprese- si va a bloccare ogni iniziativa di progressione imprenditoriale e si accresce il fenomeno della chiusura delle aziende anche potenzialmente vitali, con il risultato soprattutto della crescita della disoccupazione. Perciò quella luce che si riflette sulle pagine economiche dei giornali è una spia di povertà. Altro che!