E’ il caso di dire che il vino lucerino si è impantanato nella burocrazia. Saprete che la Cantina Sveva, ex Cantina dell’Ente di Riforma e produttrice del noto vino locale” Cacc’e Mmitt”, ha chiuso i battenti per difficoltà finanziarie, benché avesse un mercato di collocamento del prodotto florido e addirittura aperto a prospettive di conquista di ulteriori spazi. Sono in corso le procedure di legge per cautelari i creditori rimasti al palo e assicurare, per quanto possibile, la ripresa e continuità dell’attività del complesso enologico attraverso le forme previste dalle legge, a cominciare dalla gestione sotto forma di fitto. Il primo tentativo in questa direzione è andato male, nel senso che la procedura è stata aggiornata, portandosi appresso anche (voleva essere diversamente?) un mare di polemiche. Non conosciamo, né ci interessa conoscerle, le intenzioni di quanti si sono approcciati al tavolo della procedura col proposito di rilevarne format giuridico e finanziario. Ci corre, però, l’obbligo sottolineare che i ritardi non fanno altro che deprezzare il brand del nostro vino, già sceso di quotazione a seguito della chiusura dello stabilimento di produzione e di collocamento. Vogliamo aggiungere che sarà difficile riportare subito il prodotto (nelle sue diverse articolazioni) alla considerazione che aveva prima della chiusura dello stabilimento, soprattutto perché il suo spazio nei luoghi di vendita sono stati nel frattempo occupati dalla concorrenza, anche extra regionale.
Andare avanti, anzi indietro, con i rinvii e con le polemiche non si fa altro che portare sempre più giù le quotazioni di mercato, per cui subirebbero un danno anzitutto coloro che avrebbero l’opportunità di prendere in gestione l’attività. Notiamo che al benedetto tavolo dell’aggiudicazione vi sono diversi soggetti, alcuni dei quali si sono spesi all’insegna del mantenimento della lucerinità del prodotto o del desiderio di dare una mano alla economia locale, già in difficoltà per tante altre ragioni. Speriamo che costoro non siano venditori di fumo o di fichi e che veramente abbiamo la volontà di farlo. Da quello che possiamo capire, la situazione, pur nella sua complessità finanziaria, è particolarmente chiara, lineare. Ci sono da coprire soprattutto i debiti bancari, che probabilmente si riferiscono ad affidamenti formalizzati con troppa disinvoltura dal sistema creditizio o a una conduzione immotivatamente molto onerosa. Ci sarebbe da capire anche perché la cantina si è trovata in una difficoltà finanziaria senza alcuna possibilità di trovare soluzioni a rimedio. Non lo si capisce alla luce del fatto che il prodotto veniva tranquillamente collocato e, anzi, in alcuni casi, era addirittura difficile reperirlo. L’opificio un tempo era un fiore all’occhiello anche dal punto di vista della correttezza di gestione e dell’equilibrio costi/ricavi.
Per il momento, nessuno degli ultimi amministratori ha ritenuto di fornire chiarimenti al titolo, dimenticando che la cantina era un bene pubblico dal punto di vista dell’immagine, anche se l’assetto proprietario era costituito da soci e, quindi, aveva una connotazione privata. Sia come sia, il percorso dell’attribuzione della gestione dell’attività va portato subito a conclusione, ad evitare che di trovarsi con la bottiglia vuota. Il “Cacc ‘e Mmitte” appartiene alla storia della città e a quella grande intuizione dell’Ente di Riforma, che ritenne di gratificare e incoraggiare la nostra produzione vitivinicola facendo nascere sul posto uno stabilimento di avanguardia, che al tempo ci veniva invidiato da tanti. Tra i tanti salvataggi improbabili, questo è quello che tiene le porte aperte ad una soluzione fattibile. Non disperdiamo quest’altro patrimonio con azioni stupidamente dilatorie o irrazionali.
a.d.m.