Comunque si concluderà, l’operazione-rientro del senatore Costantino Dell’Osso sarà politicamente un flop. Del resto, sono le stesse domande che ci fanno i lettori ad indicare questa conclusione, lettori che non riescono a capire come mai non sia stato ancora possibile realizzare quello che gli stessi soggetti interessati avevano annunciato di voler fare. Diciamo le cose come stavano e stanno: non vi erano le condizioni politiche richieste per far rientrare in Giunta il parlamentare, Giunta sostenuta da una maggioranza nella quale vi sono ancora gli eterni nemici di Dell’Osso. Si, proprio quelli che gli hanno di fatto impedito di ripresentarsi a capo di una lista di centro destra nelle scorse elezioni. Costoro non potevano annullare d’un colpo tutte le perplessità sulla presenza del senatore. E difatti così è stato. Il Sindaco Dotoli conosceva benissimo la situazione, per cui doveva prendere le necessarie precauzioni prima di avventurarsi sulla strada di una decisione che già in partenza non segnava bel tempo. Certo, cristianamente, moralmente e personalmente è stato un bel gesto riappacificarsi. Ci mancherebbe! Però, la politica è tutt’altra cosa e non contempla riappacificazioni cui non segua un sonante do ut des e cioè qualcosa da avere in contraccambio.
Tutto ciò è accaduto, si è ripetuto perché in realtà Dotoli sta governando senza squadra. La sua è una corsa da solitario, fra mille ostacoli e sgambetti, senza il supporto di una vera, univoca identità politica e di appartenenza, con una compagine di consiglieri che ritengono di rispondere solo a se stessi, con una visione del gioco di assieme molto approssimativa e talvolta politicamente prezzolata. La squadra doveva essere il partito (che non c’è), la squadra doveva essere il gruppo consigliere (che esiste solo sulla carta), la squadra doveva essere la compattezza su un progetto mirante a far decollare veramente la città. La squadra doveva segnare anche una inversione totale del modo di fare politica, perché il risultato bulgaro delle elezioni voleva dire proprio questo. Altrimenti cosa può significare la discontinuità se non un modo diverso, più coerente, più trasparente, più responsabile, più sostenuto dai valori di solidarietà a beneficio della città amministrata? Pensate, amici lettori, che tutto questo sia avvenuto? E’ il Consiglio Comunale che mostra uno spettacolo davvero poco edificante delle condizioni della politica lucerina. E’ un miracolo di resistenza se Dotoli sia riuscito sinora a non mollare definitivamente, posto che lo ha fatto già in alcune circostanze, mettendole a registro con discutibili pentimenti.
Il Consiglio Comunale, tante, troppe volte elevato a massima e nobile espressione istituzionale, è diventato in più occasioni luogo dove incontrarsi per dare sfogo a quella rissosità che è parente stretta di povertà di idee, di programmi. Il Consiglio Comunale che dovrebbe essere l’organo di indirizzo sulle scelte di fondo è stato ridotto a luogo di semplice ratifica, saltando quelle prerogative che lo rendono davvero motore del’attività istituzionale comunale. E quando non funziona a dovere il parlamentino comunale vuol dire che qualcosa non va nella sensibilità e nella correttezza di quanti affermarono di volersi mettere al servizio della città. Qui di servizio francamente si vede poco, come i magri risultati sinora conseguiti stanno a dimostrare. Il Sindaco Dotoli potrà pure dire che non tutto è stato negativo, ma bisogna vedere quel non tutto a cosa è rapportato. Certamente, il tutto era rapportato ad un programma di vero slancio, modernità che è stato il leitmotiv della scorsa campagna elettorale, soprattutto dopo il disastro dell’esperienza Morlacco. Ancora una volta dobbiamo ripetere che anche la politica si fa con la squadra, senza della quale il fallimento è assicurato.
a.d.m.


