Riceviamo e Pubblichiamo una lettera scritta alla redazione delle 'Iene' da una nostra concittadna che vive a Roma in cui descrive la vicenda che riguarda suo fratello, un ragazzo disabile.
Gent.ma Redazione di “Le Iene”,
chiedo un vostro imminente aiuto per un problema che riguarda mio fratello Michele! Michele è un disabile (100% di invalidità) nato nel 1972 a Lucera (FG) con un ritardo mentale che lo ha colpito maggiormente nell’area della parola, comportandogli inoltre un rallentamento della crescita fisica. A casa nostra Michele è sempre stato coccolato da tutti, soprattutto da mia madre. Nove anni fa, in relazione ad una breve esperienza da lui fatta presso una colonia estiva per disabili, ha voluto provare ad andare in un centro residenziale assistenziale. Così è entrato nel centro di riabilitazione di Gissi (Vasto) per un periodo di prova. Superato tale periodo, davanti ad una commissione medica dell’ASL di Foggia, mio fratello ha espresso il desiderio di restare a Gissi e così è stato fino a qualche giorno addietro. Tutto è infatti precipitato all’inizio di Febbraio. Con una telefonata, mia madre, senza tralasciare alcuna preoccupazione, mi comunicava che l’assistente sociale del centro di riabilitazione di Gissi aveva ricevuto una comunicazione ufficiale da parte dell’ASL di Foggia, nella persona del Dott. Trevisano (Responsabile del Dipartimento di Riabilitazione). Questi, senza nemmeno procedere ad alcuna visita nei confronti di mio fratello, non confermava per il corrente anno i 365 giorni validi per l’attuazione del “Piano Individualizzato” previsto per mio fratello, Michele pertanto doveva essere dimesso dalla struttura il 23 marzo. La missiva aggiungeva inoltre che, solo successivamente a tale data, una commissione avrebbe valutato se poteva o meno restare in quell’istituto. Nel cercare di tranquillizzare mia madre, ma anch’io profondamente turbata di una iniziativa così al di fuori della consuetudine, le suggerivo di contattare l’ASL - pur in assenza di comunicazione ufficiale inviata ai miei genitori - per cercare almeno di capire le motivazioni di quanto era avvenuto. Successivamente, intorno alla metà di febbraio, ricevo un’ ulteriore telefonata da parte di mia madre che mi racconta come, secondo quanto da me consigliato, si era recata presso il suo studio al dipartimento di riabilitazione dell’ASL di Foggia per cercare di capire quali fossero le ragioni che avevano portato ad individuare proprio mio fratello Michele (che, tra l’altro, si trova così bene in quell’istituto da tornare a casa ogni anno esclusivamente nei periodi di Pasqua e Natale). Mia madre, nel continuare il racconto, mi ha riferito che, dopo un’ ora e mezza di attesa, assieme a mio padre erano stati ricevuti dal Dott. Trevisano ma non era stato permesso loro di chiedergli alcuna spiegazione (mi preme evidenziare che mio padre è “amministratore di sostegno”
di mio fratello da quasi un anno); il dottore aveva affermato solo: “IO NON PAGO”. Inoltre, l’assistente sociale ivi presente (Sig.ra Guglielmina SURIANO) si era preoccupata solo di dare a mia madre un depliant di una, non meglio identificata, struttura residenziale di Foggia “a pagamento” (della quale, da alcune informazioni acquisite, sembra che funzioni soltanto per alcune
ore giornaliere). La storia non finisce ancora qui!!! Infatti, nonostante quello che era accaduto ed il trattamento “vergognoso” che aveva ricevuto, mia madre mi telefona nuovamente dopo qualche giorno (all’incirca a ridosso della fine del mese di febbraio) per dirmi che era ritornata molto “umilmente” dal dirigente per chiedergli, perlomeno, di visitare mio fratello prima della fatidica data del 23 marzo, al fine di capire come lui stesso si sentiva, come stava, che cosa desiderava e, nel contempo, verificarne le condizioni di salute. Contenta, mi comunicava che il Dott. Trevisano aveva accettato di vedere mio fratello il successivo 11 marzo presso il Dipartimento di riabilitazione. Così in data 10 marzo, mio padre (cardiopatico) e mia madre (anch’essa cardiopatica), partendo da Lucera (FG), si sono recati con la propria autovettura a prendere Michele per portarlo a casa in vista della visita del giorno dopo, senza peraltro raccontargli nulla. Quello che vi racconto di seguito ha dell’inverosimile! Mia madre, profondamente angosciata, mi telefona lo stesso 11 marzo, intorno a mezzogiorno, per raccontarmi che quella mattina, presso il Dipartimento del Dott. Trevisano all’ASL di Foggia, alla presenza dell’assistente sociale sopra citata e di uno psicologo – Dott. Mattia PINTO - (entrambi dello stesso Dipartimento), avevano fatto un’ intervista a Michele. Ad una precisa domanda del dirigente, mio fratello aveva manifestato chiaramente la sua volontà di rimanere in quell’istituto e di trovarsi bene in quel posto, ma il dott. Trevisano, incurante di quello che (con difficoltà) mio fratello stava cercando di manifestare, aveva esordito dicendo che quell’istituto non andava bene per lui. Continuava affermando che la sua patologia si era stabilizzata, non prendeva compresse (non mi risulta che mio fratello abbia mai preso compresse in modo continuativo) e che, data la sua difficoltà visiva (manifestatasi purtroppo da due anni per un glaucoma ad un occhio ed un successivo distacco della retina all’altro), non aveva bisogno di una assistenza sanitaria, ma soltanto di una persona che lo lavasse e lo facesse mangiare, e che quindi “quello stesso giorno” avrebbe mandato un fax per dimettere mio fratello dall’Istituto di Gissi. Invitava infine i miei genitori a “riportarselo a casa”. Mia madre, ancora più profondamente provata di prima ed in cerca di aiuto, mi continuava a dire che, nonostante avessero fatto presente al Dott. Trevisano che una scelta così drastica (ribadisco che mio fratello stà nel citato Istituto da circa 9 anni) poteva essere dannosa per la sua salute psicofisica (peraltro, proprio lo scorso dicembre Michele ha subito l’ennesimo intervento agli occhi ed i dottori hanno consigliato di mantenerlo tranquillo per tenere sotto controllo la pressione oculare ed evitare un ulteriore distacco della retina), aveva chiesto - sempre molto umilmente - di far rimanere mio fratello in istituto almeno fino al 23 marzo, come aveva precedentemente stabilito (l’intento era di prepararlo almeno psicologicamente ad una possibile sistemazione diversa, da individuare assieme alle assistenti sociali dell’ istituto in cui si trovava). Mia madre subiva l’ennesimo maltrattamento da parte del dirigente che, contrariato, non aveva più avuto voglia di sentire alcuna ragione, mentre Michele continuava a ripetere “io là voglio stare”.
Quali sono le vostre riflessioni leggendo quanto sopra ho riportato? Immaginate cosa possa aver provato mia madre che lo ha vissuto? Che VERGOGNA!
- Sono davvero questi i nostri “dirigenti”, peraltro medici, che dovrebbero tutelare il diritto sacrosanto alla salute di un disabile (non per scelta)?;
- Sono davvero questi i nostri “dirigenti” che, con i soldi pubblici, si pagano gli avvocati e restano impuniti e che si possono permettere il lusso di maltrattare le persone più deboli, come mio fratello, o che manifestano “umilmente” il proprio dissenso?;
La patologia clinica di una persona non si valuta dal numero di compresse che prende, né tantomeno da una stabilizzazione di un handicap conclamato. Lo scopo dei questi centri, compreso quello in cui si trova mio fratello Michele, è la tutela della salute fisica e psichica di questi ragazzi/adulti e quindi, anche se mio fratello non prende compresse ma anzi svolge la sua vita tranquillamente e serenamente in un posto che gli aggrada, l’obbiettivo per me è raggiunto (anche secondo i parametri ministeriali). I miei genitori si sono rivolti ad un avvocato per cercare di tutelare gli interessi di mio fratello (a loro spese). Quante persone lo possono fare? E quante ancora vivono questo disagio senza sapere come muoversi e cosa fare? La scorsa settimana mi sono recata con tutta la mia famiglia a festeggiare (se così si può dire) la Santa Pasqua con i miei genitori, giù in Puglia, e sono stata con Michele. La situazione stà diventando sempre più critica. Mio fratello per la maggior parte del tempo stà a letto; con molta difficoltà si fa aiutare nella pulizia personale; rifiuta la terapia prevista dall’oculista per tenere sotto controllo la pressione oculare (ormai non vede più nulla); non vuole uscire di casa con nessuno; ripete di continuo che vuole soltanto andare a Gissi. I miei genitori sono preoccupati e le loro condizioni di salute non sono delle migliori. Nonostante l’Avvocato abbia scritto ai responsabili di questa situazione ed alle strutture locali (ASL di Foggia), regionali (Regione Puglia) e nazionali (Ministero della Salute) che dovrebbero tutelare la salute di Michele, NESSUNO ha fornito ufficialmente alcun minimo riscontro. Forse soltanto un vostro AIUTO potrà darci una mano per smuovere le coscienze (se ancora qualcuno ne possiede una). Desidererei rendere di pubblico dominio tale vicenda perché i DISABILI non sono dei pacchi da spostare a seconda di esigenze “economiche e/o politiche” e tali situazioni non devono più accadere.
GRAZIE PER QUANTO FARETE!
Roma, 5 aprile 2013
Giselda Anna DI CARLO